Going electric

Newport, 1965: una selva di fischi sommerge Bob Dylan all’uscita dal palco. Dopo appena 3 canzoni, tutte pesantemente contestate, il cantautore del Minnesota sceglie di abbandonare il palco con un categorico:
“Let’s go man, that’s all.”
Tutto ciò accadde 24 anni dopo la nascita di uno degli artisti che più avrebbero influenzato la scena musicale mondiale. Nonostante la giovane età Dylan aveva già collezionato una serie di album di successo, entrando nel cuore di milioni di persone con canzoni come Blowing in the wind e Masters of War. Dal suo pubblico era identificato come il menestrello con chitarra e armonica, difensore degli oppressi della società, e ciò che ci si aspettava da lui era questo e niente di più; questa maschera che gli avevano cucito addosso si sgretolò di fronte alla vista di un Dylan che imbracciava una chitarra elettrica.
Robert Allen Zimmerman calcò per la prima volta le strade di New York nel gennaio del 1961, per incontrare il suo idolo Woody Guthrie; da quel momento assumerà lo pseudonimo di Bob Dylan, in onore di Dylan Thomas, poeta inglese di inizio ‘900. Pochi mesi dopo salì alle luci della ribalta grazie alla sua apparizione alla marcia per i diritti civili di Washington, dove suonò con miti della musica folk quali Joan Baez , con cui avrà anche una relazione, e Pete Seeger. Il suo stile semplice e spontaneo attirò subito l’attenzione del grande pubblico e il favore dei critici. Il suo rapido successo fu sancito in maniera inequivocabile dal disco The Freewheeling Bob Dylan, che solo in USA vendette più di un milione di copie. Ad un impegno in campo musicale Dylan unì l’interesse sempre maggiore per i problemi della società, in particolar modo verso gli emarginati, come dimostra la sua partecipazione nel marzo ’63 a Washington, dove suonò sul palco che di lì a pochi minuti avrebbe ospitato lo storico discorso di Martin Luther King e cambiato il destino dell’America nera. Pochi mesi dopo Dylan compose un’altra canzone simbolo, The Times They’re a-chancing, scritta in occasione della storica vittoria di J. F. Kennedy alle elezioni per la presidenza americana: quando quest’ultimo venne assassinato, il giovane Bob rimase disorientato e sconvolto insieme a tutto il mondo.
Tuttavia, già nel ’64 Dylan mostrò quella volontà di cambiare il proprio stile che lo spinse a seguire nuove strade e a scrivere nuove canzoni. Ciò si tradusse in testi più sofisticati, dove tutto veniva rielaborato e superato grazie all’immaginazione, che costruiva mondi in cui veniva sublimata quella realtà che lo stesso Dylan aveva tentato invano di cambiare in precedenza. Persino i critici erano stupefatti nel costatare come un ragazzo così giovane fosse al tempo stesso così poeticamente maturo. Alla variazione tematica si accompagnò in parallelo anche il cambiamento nella musica e nel modo in cui essa veniva espressa; Dylan sorprese tutti presentandosi sul palco con una rock band al seguito ed eseguendo brani in uno stile completamente diverso da quello usato in passato:
C’è la musica e ci sono le parole. Le parole non interferiscono con la musica: esse la puntualizzano. Sì, insomma, le danno uno scopo.”
L’album che ruppe definitivamente con il passato è Bringing It All Back Home, pubblicato nel ’65: il disco era composto da una parte acustica, che convinse positivamente il pubblico grazie anche a stupende canzoni visionarie quali Mr. Tambourine Man e Gates of Eden. La parte elettrica suscitò invece tutta quelle serie di critiche che poi culminarono con il fiasco al concerto di Newport.
Appena quattro giorni dopo quell’evento, Dylan si presentò in studio per registrare Positively Forth Street; ignorando le critiche ricevute anche da persone a lui vicine, il giovane cantautore portò avanti il progetto di profonda modifica della sua musica, aderendo sempre di più alla cultura rock: le dolci note della chitarra acustica furono sostituite in pianta stabile da melodie più complesse e particolari, dove però spiccava sempre l’aspro e inconfondibile suono dell’armonica, punto di incontro fra due mondi apparentemente molto distanti.
Nonostante tutte le critiche ricevute dai puristi del folk Dylan riesce, dopo un periodo incerto, a zittire tutte le critiche con il secondo disco elettrico, Highway 61 Revisited, considerato fra i migliori album di tutti i tempi dall’autorevole rivista “Rolling Stone”.

Lato A

Lato B


La canzone di apertura del disco è entrata nella storia della musica: Like a Rolling Stone è il perfetto esempio di allegra ballata dove ad una melodia orecchiabile è unito un testo di notevole bellezza e spessore poetico: il testo narra la storia di Miss Lonely, ragazza dei quartieri alti, precipitata in quella miseria che prima tanto deprecava, costretta ad una vita senza punti di riferimento proprio “come una pietra che rotola”. Molti hanno interpretato il testo della canzone come un vero e proprio sfogo di Dylan verso coloro che continuavano a criticarlo, mentre altri critici hanno spiegato che il testo non sancisce altro che il distacco definitivo di Dylan dal passato: a nostro modesto parere sono possibili molte interpretazioni, le quali però non sono sufficienti da sole per esplicitare e comprendere appieno il messaggio della canzone. Il disco prosegue con Tombstone Blues, canzone dall’atmosfera surrealista ispirata dai versi di Salvador Dalì; secondo il critico Bill Janovitz se quest’ultimo avesse imbracciato una chitarra elettrica avrebbe composto esattamente questa canzone. Fra le altre canzoni del lato A spicca Ballad of a Thin Man, uno dei brani più ermetici che Dylan abbia mai scritto: il testo parla di un certo Mr. Jones che entra in una stanza e intrattiene conversazioni assurde con i presenti. Il messaggio più evidente è che il cantautore abbia voluto criticare la mediocrità dell’uomo moderno, che passa tutto il tempo a fare domande agli altri senza mai ricercare la verità in sé stesso. L’alone di mistero misto al paradosso comunque rimane: quando Mogol, interessato a fare una traduzione italiana della canzone, chiese a Dylan delle delucidazioni sulla canzone quest’ultimo rispose stranamente: “Ah, quella? Non l’ho capita nemmeno io!”.
La canzone che da il titolo all’album è inserita nel lato B e si riferisce all’autostrada che corre lungo le sponde del Mississipi, dal Minnesota (luogo di nascita di Dylan) alla Louisiana. La canzone è un duro attacco alla società occidentale e spazia dal capitalismo e il consumo di massa (“Ho quaranta lacci per scarpe rossi bianchi e blu e mille telefoni che non suonano. Sai dirmi dove posso sbarazzarmi di 'sta roba?”) al dogmatismo religioso (“Dio disse ad Abramo -Sacrificami un figlio- Abramo rispose -Amico, mi prendi in giro?-”).
La canzone finale del disco, Desolation row, rappresenta l’apice visionario di Dylan che, attraverso 11 minuti di pura follia, salta da un argomento all’altro senza un apparente filo logico, attraversando alcune delle figure più rilevanti della letteratura e della storia, da Noé a Robin Hood, da T.S. Eliot al Gobbo di Notré-Dame. Sebbene non senza difficoltà, la canzone esplicita ciò che Dylan lasciava sottintendere nelle altre 8 canzoni: nessuno può essere sicuro delle proprie tradizioni, in quanto la realtà è un enorme caos che può coinvolgere chiunque, dalla persona altolocata (Miss Lonely) all’uomo più sprovveduto (Mr. Jones). In questa condizione non c’è niente di certo e nemmeno la religione può dare delle risposte: e se perfino Ofelia, Casanova o Einstein sono schiavi di tutto questo, allora la via della desolazione non è altro che la rappresentazione della nostra realtà.
Desolation row, unica canzone acustica dell’album, ebbe un impatto culturale così forte che nel 1974 Fabrizio De André, insieme al giovane Francesco De Gregori, ne effettuò una fedele traduzione nella sua canzone Via della povertà.





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