Il marketing del farmaco

Che cos'è che io non so quando mi siedo davanti al mio medico generico ed ho un problema di salute?” questa è la domanda che Paolo Barnard rivolge, in un suo servizio, alla persona davanti alla telecamera; “Lei non sa che prima di lei sono passato io”: con questa risposta si apre una delle puntate più interessanti di Report, intitolata non a caso Il marketing del farmaco, che mette in luce alcuni degli aspetti più sconosciuti della dialettica fra il medico e le varie case farmaceutiche. La persona intervistata da Barnard è infatti un informatore scientifico, cioè un rappresentante che lavora alle dipendenza di una casa farmaceutica e che dovrebbe informare il medico su come si prescrivono e si usano i nuovi farmaci lanciati sul mercato. L'approccio dell'informatore nei confronti del medico non è però sempre professionale e può accadere che quest'ultimo venga “coccolato” (questo è il termine utilizzato dall'intervistato) con il fine di prescrivere un certo farmaco rispetto ad un altro concorrente. In pratica il medico, in cambio di alcuni favori, prescrive ai propri pazienti il farmaco della ditta rappresentata dall'informatore invece che un altro: questa pratica, che prende il nome di comparaggio, in Italia è illegale poiché viola, fra l'altro, anche l'articolo 32 della Costituzione, che sancisce la completa libertà di trattamento per medico e paziente: sebbene non sia una pratica diffusa, riesce però a falsare ingentemente il mercato del farmaco nostrano. Tale pratica non porta necessariamente ad una terapia peggiore e quindi a dei danni per il paziente, ma certamente influisce sugli interessi economici delle singole ditte e quindi sul mercato dei vari farmaci. Ma perché i rappresentati non possono solo limitarsi a presentare il nuovo farmaco senza procedere oltre i limiti della legalità? La risposta viene offerta dal noto farmacologo Silvio Garattini, che spiega come i rappresentanti siano stipendiati in base delle scatole di farmaci vendute: se sommiamo a ciò il fatto che il dialogo fra il medico e l'informatore avviene in una stanza chiusa, senza dei testimoni, ecco che allora si creano tutti i presupposti affinché il comparaggio sia oltremodo facilitato. Ma allora, se il rappresentante è vincolato dal contratto, dall'altra parte perché un medico dovrebbe rischiare di rovinarsi la carriera per prescrivere poche decine di scatole di farmaci in più? Le case farmaceutiche sono enormemente ricche e possono permettersi di fare costosi regali non solo ai medici, ma anche agli ospedali: non è raro, come viene mostrato nel video, che le case farmaceutiche regalino interi macchinari diagnostici ai vari reparti degli ospedali. Non solo: alcuni medici, quelli con la più alta “resa prescrittiva”, vengono utilizzati come veri e propri sponsor dalle case farmaceutiche per il lancio di un nuovo farmaco. Si parla in tal caso di medici fidelizzati alla casa farmaceutica che diventano un mezzo di guadagno per le ditte. Per fidelizzare un medico l'arma utilizzata dagli informatori è quella del congresso: la casa farmaceutica fornisce al medico la possibilità di partecipare a importanti congressi in tutto il mondo in cambio delle suddette prescrizioni. Tutti gli anni questi informatori prenotano un certo numero di posti nei più rilevanti meeting mondiali sulla medicina e li utilizzano come premio nei confronti del medico fidelizzato oppure come merce di scambio: si tratta sempre di congressi costosi (circa 2000 euro ciascuno) in famose località balneari o turistiche (Il Cairo, Salvador De Baìa e la Sardegna, solo per citarne alcuni). La domanda resta però irrisolta: perché mai il medico dovrebbe cadere nelle tentazioni delle ditte farmaceutiche, in fin dei conti solo per un congresso? Ebbene non stiamo parlando solo di un congresso: la ditta farmaceutica può arrivare in alcuni casi addirittura a sponsorizzare le ricerche e gli studi di alcuni medici e grazie a ciò possono tenere loro stessi dei congressi e stands sulle proprie ricerche, tutto a spese della casa farmaceutica. In Italia i soldi per la ricerca scientifica sono sempre più scarsi e la proposta delle ditte diventa quindi molto allettante per un medico che voglia portare avanti le proprie analisi nel nostro paese. In tutto questo processo è la comunità che per prima ci rimette, non tanto dal punto di vista sanitario, quanto da quello pecuniario. I soldi spesi per mandare i medici in congressi nei paesi più disparati del mondo sono infatti gran parte denaro pubblico, poiché la fetta più grande di profitto per le case farmaceutiche arriva dai farmaci in fascia A, cioè quelli rimborsati dallo Stato.
Questo meccanismo è solo un esempio che serve ad evidenziare come anche il medico più serio possa essere risucchiato dal vortice indotto dalle ditte farmaceutiche; i medicinali non sono una merce qualsiasi e non dovrebbero essere oggetto di attività speculative, come invece frequentemente avviene nella nostra società. L'esempio più evidente è dato dalla questione dei brevetti: come sapete da alcuni anni sono stati messi a disposizione nelle farmacie italiane i farmaci generici o equivalenti, identici per composizione e uso a quelli di marca, ma decisamente meno costosi. I farmaci generici sono anche bioequivalenti, cioè hanno lo stesso valore terapeutico del corrispondente farmaco originario. In Italia i farmaci generici devono costare almeno il 20% in meno rispetto al farmaco di marca, secondo le disposizioni dell'Aifa, l'agenzia del farmaco. Su scala mondiale, fino al 1996, non tutti i paesi riconoscevano i brevetti riguardo ai farmaci e potevano quindi riprodurne una copia generica da distribuire alla popolazione, con conseguente grave perdita per le grandi case farmaceutiche. Dal '96 l'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) ha imposto a tutti gli stati membri il riconoscimento dei brevetti farmaceutici e da quel momento in poi il dominio delle grandi lobby non ha trovato più ostacoli. I responsabili difendono quell'accordo citandone un particolare articolo, che prevede la sospensione delle sanzioni sulla copia di farmaci brevettati in caso di emergenza sanitaria nei paesi poveri; tale articolo non viene quasi mai rispettato a causa di minacce più o meno velate da parte delle grandi aziende del farmaco. Analizziamo ad esempio la situazione della Repubblica Dominicana, dove gran parte della popolazione è colpita da AIDS: il farmaco antiretrovirale più efficace attualmente è l'Indinavir, prodotto dalla statunitense Merck, che a Santo Domingo costa circa un quarto dello stipendio medio di un operaio dominicano: la popolazione è in gran parte povera e non può permettersi di comprarlo. Una casa farmaceutica locale, la Rowe, ha prodotto un farmaco equivalente che costa cinque volte meno dell'Indinavir e lo ha messo in commercio, scatenando l'immediata denuncia della Merck. Ma perché il governo dominicano non ha immediatamente decretato lo stato di emergenza sanitaria? La Repubblica Dominicana è in stretti rapporti di dipendenza economica con gli USA, che lì hanno costruito numerosi stabilimenti industriali per utilizzare la manodopera a basso costo; le industrie producono così a prezzi ridotti e, d'altra parte, circa due milioni di giovani riescono a trovare un lavoro. Dopo lo scandalo dei farmaci molte industrie hanno minacciato di ritirare la proprie fabbriche dal territorio dominicano, lasciando così la popolazione in condizioni d'indigenza. Inoltre l'allora segretario di stato americano Madeleine Albright inviò all'ambasciata americana a Santo Domingo un documento molto chiaro: “Sappiamo che il governo dominicano si sta consultando con un esperto assai critico delle regole sui brevetti: egli sostiene che quelle regole rischiano di mantenere alti i prezzi dei farmaci. Gli Stati Uniti considerano tale dichiarazione molto preoccupante.” Il documento invitava espressamente il governo dominicano a prendere contatto con due esperti, segnalati dagli USA, per le leggi sui brevetti: ecco quindi spiegato i motivi del silenzio. Il dibattito a distanza fra Rowe e Merck è proseguito nel frattempo senza sosta: l'avvocato difensore della Merck afferma proprio ai microfoni di Barnard che “la proprietà privata deve essere inviolabile, che uno sia ricco o povero. Nessuno ha il diritto di violare la proprietà privata di un'invenzione, come ad esempio un farmaco.” Inoltre, afferma sempre l'avvocato, esistono farmaci non più sotto brevetto che possono essere riprodotti e inseriti in commercio. Se sulla prima affermazione si possono avere opinioni diverse, su quest'ultima c'è ben poco da essere d'accordo: il brevetto sui farmaci scade dopo vent'anni dall'immissione in commercio, ma l'AIDS è stata scoperta nel 1981 e i primi cocktail antiretrovirali sono stati sperimentati solo nel '95, quindi non sono ancora passati vent'anni. Tutto ciò, poi, non tiene conto del fatto che farmaci di vent'anni fa sono certo meno efficaci dei moderni farmaci e ciò spiega anche il perché oggi non si utilizzano più.
Ma la popolazione cosa può fare di fronte a ciò? In Inghilterra un'anziana signora, scoperto che parte dei propri fondi pensione erano investiti in alcune multinazionali farmaceutiche che si rifiutavano di aiutare le popolazioni del Terzo Mondo, ha semplicemente fatto una telefonata al gestore dei propri investimenti e ha bloccato il proprio contributo alla GlaxoSmithCline, ditta inglese fra le più influenti al mondo. Grazie al Pension Act, una legge che prevede la pubblicazione, da parte dei gruppi di investimento inglesi, delle società finanziate con i soldi dei contribuenti, si sono uniti alcuni migliaia di pensionati, che hanno infine piegato il colosso, costretto a lanciare una campagna di vaccinazioni in alcuni paesi poveri. La strada è certo ancora molto lunga ma dobbiamo capire che solo noi possiamo cambiare lo stato attuale delle cose.

Ps: i video delle puntata sono tutti su YouTube. Qui per sintesi ho pubblicato solo la prima di sette parti.. enjoy!

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